in ,

Pensioni: il caro inflazione e l’aumento della quota retributiva

Nelle tasche dei pensionati italiani entreranno 32 miliardi di euro nei prossimi tre ani. Il provvedimento è legato all’adeguamento degli assegni all’inflazione.

Nei prossimi tre anni nelle tasche dei pensionati italiani entreranno 32 miliardi di euro netti. Il provvedimento è legato all’adeguamento degli assegni all’aumento dell’inflazione. Il caro prezzi degli ultimi mesi ha portato un abbassamento significativo del potere d’acquisto dei pensionati. La notizia rassicura molti pensionati, ma inquieta il governo. Questa decisione è infatti una scelta piuttosto esosa per le casse dell’erario. Si parla quindi di tornare al metodo di calcolo retribuitivo per fasce e non più per scaglioni.

 

I numeri del provvedimento

L’Ufficio parlamentare di bilancio ha fatto un calcolo dei costi aggiuntivi per il bilancio dello stato in termini pensionistici, stando alla crescita dell’inflazione. L’inflazione per il 2022, infatti, era prevista al 5,8%, ma attualmente ha raggiunto il 7,3%. Le pensioni vengono quindi ricalcolate di due punti rispetto alle stime del Def. Si prevede quindi un significativo aumento della spesa previdenziale nei prossimi tre anni: nel 2023 verranno erogati ben 5,7 miliardi di euro in più, nel 2024 11,2 miliardi, mentre nel 2025 ben 15,2 miliardi.
Secondo Maria Rosario Marino, direttore del Servizio analisi settoriale dell’Ufficio parlamentare di bilancio, l’incremento delle pensioni del primo anno è permanente e si trasferisce sugli altri. La pensione da rivalutare è sempre più alta. Allo stesso tempo bisogna tenere anche da conto che l’inflazione sta portando nelle casse dello stato maggiori introiti derivati dall’IVA. Il saldo dei conti pubblici potrebbe quindi tranquillamente tornare in paro. L’aumento delle pensioni non rappresenterebbe un pericolo per l’erario.

 

Come avviene la rivalutazione delle pensioni in base all’inflazione?

Negli ultimi 25 anni sono stati utilizzati due metodi per rivalutare le pensioni in base all’inflazione:
Il metodo di calcolo a scaglioni: introdotto nel 1997 dal governo Prodi I con ministri Visco, Ciampi, Bersani e Treu.
– Il metodo di calcolo a fasce: introdotto nel 2014 dal governo Letta. Mentre il primo metodo segue una valutazione su metodo di tipo Irpef, il calcolo Letta è su 5 fasce di importo. A ciascuna fascia corrisponde un’aliquota secca di rivalutazione (100%, 95%, 75%, 50%, 45%) da applicare tutta la pensione.

Nel 2011 durante il governo Monti si è fatto ricorso al “Salva Italia” provvedimento che bloccò per il 2012 e il 2013 l’indicizzazione per le pensioni superiori al triplo del minimo, ovvero a tutte le pensioni superiori ai 1.500 euro lordi. Questo blocco è stato dichiarato incostituzionale nel 2015 con la sentenza 70 della Corte Costituzionale. Il governo Renzi ha quindi restituito in modo retroattivo e parziale i soldi ai pensionati che percepivano tra i 1.500 e i 3.000 euro (ovvero a coloro che ricevano tra le 3 e le 6 volte il minimo).

Nel 2018, il governo Giallo-Verde, per non tornare al metodo introdotto nel 1997, ha deciso di ampliare le fasce del metodo Letta, che sono passate da 5 a 7. Così facendo, quasi 6 milioni di pensionati hanno subito un taglio di 3,6 miliardi. Di fronte alle proteste scatenate dal provvedimento, celebre la risposta dell’allora presidente Conte: “Parliamo di qualche euro al mese, neppure l’Avaro di Molière se ne accorgerebbe”. Nel 2020 con il governo Conte II le fasce da 7 sono diventate 6.

Nel 2022 si è tornati ai tre scaglioni Prodi, con l’assenzo del governo Draghi, che ora però vuole tornare a un sistema di calcolo a fasce in modo tale da contenere la rivalutazione legata alla super inflazione. Si parla di congelare gli aumenti degli assegni più alti. Ovviamente le considerazioni da fare sono molte. La riforma del sistema pensionistico resta sempre una questione all’ordine del gioco.

Photo Credits:
Foto di Radio Alfa per flickr

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.